Salita storica di cui si apprezza tuttora la tenacia della cordata Badiali-Conti, specialmente sul difficile secondo tiro che vinsero ricorrendo ad una sistematica chiodatura con chiodi a fessura per progredire in A0/A1 (in libera sicuramente VII, il 6a+ visto in alcune pubblicazioni mi pare un po' stretto). Nei tiri successivi, nonostante il grado noi superi mai il V+ con alcuni passaggi di VI, l'arrampicatore medio si troverà ad affrontare una progressione per nulla banale ma comunque di soddisfazione. Nel finale si va a naufragare in un selvaggio canale finale che richiede parecchie energie tra piante, sassi in bilico e una paretina per nulla banale a pochi metri dal termine. Discesa lunga e complessa a piedi con due calate in corda doppia sul finale. Assolutamente da non prendere sottogamba! Per questo mi sento di ringraziare i due ragazzi della mitica Romagna, incrociati in parete (loro era sui Bivi della Solitudine) che ci hanno fatto strada sulla discesa, che avevano già precedentemente percorso dopo la loro ripetizione della stessa Badiali-Conti. Con Gec e Ric, a cui servirà del tempo per apprezzare questa salita ma sono convinto che book fotografico alla mano accadrà anche questo miracolo. La via sarebbe da due stelle per essere obiettivi, ma la terza stella è comunque meritata per l'avventura stessa che ho vissuto nelle quasi cinque ore passate in parete e nelle due necessarie per la discesa. Segue relazione tecnica mixata con racconto semiserio. Partenza da Bologna parcheggio UP alle ore 6.30 di un sabato tutto da inventare. I due ragazzi, scoraggiati dalle previsioni meteo per le Dolomiti, non sanno di essere caduti in una delle mie trappole. Destinazione le Marche, per andare a mettere il naso sulla Badiali-Conti al Paretone Oggioni. Un via che sulla carta sembrerebbe proporre gradi abbordabili mentre poi si rivelerà un itinerario con carattere e di tutto rispetto. Viaggio tranquillo, due ore e mezza e siamo a Serra San Quirico, per fortuna c’è il nuovo svincolo aperto e troviamo subito anche un bar nelle vicinanze. Al tavolino nessuno scopre le carte. Siamo in tre e a ognuno spetterebbe di tirare due tiri, ma ancora nessuna attribuzione. Parcheggiamo alla cosiddetta “casa del custode”, posto infernale tra la grande cava, la superstrada, il fiume e il treno ma tutto sommato accogliente. Fa già caldo, in una giornata che doveva essere invece nuvolosa e ventosa. In breve siamo all’attacco, poco sopra di noi una cordata romagnola si sta già arrostendo al sole sui “Bivi della Solitudine”. L1: Riccardino nell’indecisione generale scalpita come una cavallo per via dei suoi 22 anni e in un attimo è già partito, sale veloce mettendo alcuni friends necessari e rinviando qualche ginepro, pure sfilando un chiodo con le mani che per plebiscito riteniamo tutti non affidabile. Si sale per placche e fessure, V grado pieno per via anche della roccia non eccezionale e della necessità di integrare la chiodatura con protezioni veloci. Circa 30 metri, sosta su un pulpito su 1 fix e due chiodi. L2: Ric riparte super convinto, sulla placca verticale ci sono vari chiodi ma molti di questi rubano alle mani la possibilità di sfruttare l’esile fessura ma lui riesce lo stesso nella libera (bravo! VI+/VII). Passaggi intensi e una difficile uscita verso sinistra, per poi percorrere una breve traverso, superare una sosta in disuso e cinque metri sopra trovare quella giusta su fix. Noi che siamo “i secondi” facciamo man bassa di A0 senza neanche metterci troppi problemi di etica….o meglio convinti che se un tiro nasce in artificiale, poi lo è per tutta la vita. Tiro chiave, 25 metri, molti chiodi, qualcuno non molto affidabile. L3: Mi offro volontario per i due tiri centrali. Parto con le idee non molto chiare, un primo diedrino verso destra mi richiede un certo impegno assieme allo strapiombetto che segue. E’ tutto ben chiodato, V+/VI-, arrampicata interessante. Oltrepassato un caminetto sulla verticale di roccia meno buona, si inizia una traversata ascendente a sinistra (IV+/V). Il terreno si fa più infido e le spine del ginepro diventano una costante. Qualche chiodo e piante utili come ancoraggio per la progressione. Giunto sotto ad un boschetto pensile, nel bene o nel male seguo un passaggio tra delle piante tagliate e arrivo alla base di una diedro con due chiodi sempre di Badiali & Conti (così leggerò anche dopo su una relazione di Mazzolini). Qua l’errore! A destra (cinque metri almeno) non vedo la sosta in prossimità di una grosso ginepro, ho già fatto 30 metri e nella logica dei due chiodi a fessura arrugginiti tiro diritto e mi infilo senza saperlo in una tratto della via “Regine di Spade”. Dopo i chiodi ci sono due fix e una scomoda (ma sicura) sosta alla quale non posso fare altre che raccontare che ho sbagliato e sono pentito. Sono a 45 metri da dove sono partito, non mi rimane altro che recuperare i compagni e mandarli alla sosta giusta, per poi calarmi in doppia fino alla cengetta che mi porta alla vera S3 su 1 fix+1 chiodo. Lunghezza abbastanza contorta, difficoltà di orientamento verso S3. L4: Il morale della truppa è abbastanza basso per via della vegetazione e del caldo opprimente, cerco di ripartire veloce ma una prima fessura sopra la sosta da proteggere oltre che piuttosto sporca (V+), mi richiede un po’ di tempo. Uscito su un terrazzino con pianta si inizia a salire obliquamente verso destra, necessario con gli occhi individuare la sequenza di chiodi per non sbagliarsi, alcuni passaggi di V+/VI da superare con serenità per via della roccia non sempre perfetta. Giunti in prossimità di uno spigoletto salire diritti verso un ginepro alla base di una grotta, vecchi cordoni sulla pianta dalla quale ci si sposta tre metri a destra per rinvenire due chiodi di sosta distanti tra loro (da collegare, non cordonati e quindi poco visibili). 40 metri. Lunghezza sostenuta, purtroppo infastidita in alcuni punti dalla vegetazione. L5: Iniziano le prime allucinazione dovute al caldo, Gec mentre si toglie le spine dice che lui sarebbe anche arrivato e minaccia di scendere slegato senza saldare il conto con i due tiri finali che gli spettano di diritto. Riusciamo a convincerlo e parte ignaro di quello che lo aspetta sopra. Dopo aver incrociato l’altra cordata al “bivio” che gli racconta di terribili voloni su friends che si sfilano, lo vediamo affrontare un aggettante strapiombo fessurato (VI-, meglio anche integrare) cui segue una arrampicata obliqua sempre verso destra su roccia non solidissima. Da ultimo ci dovrebbe essere un traverso corto ma difficile a destra, che salta di netto per andare a sostare su un solido albero sotto una bianca parete friabile, forse con l’intento di aprire una variante degna di nota. 40 metri, roccia ottima e appagante fino allo strapiombo, poi via via peggiore. L6: Raggiunto il compagno, ci portiamo a destra per guadagnare la base del canale. Su quest’ultimo Gec spende le ultime pillole di calma rimaste e dopo aver raccolto ogni specie botanica tra il casco e la maglietta va a fare sosta su un’altra pianta 40 metri sopra, alla base di una paretina piuttosto repulsiva. III+, canale che si alterna a qualche muretto da scalare. L7: L’orologio avanza a braccetto con il caldo ma qua per fortuna siamo in ombra e si iniziano ad apprezzare le piante. Gec si trova ora al conflitto finale con la repulsiva parete di 6 metri, ma vince la battaglia prendendo in mano non si sa bene cosa tra fogliame e sassi che si muovono e cadono verso il basso. Noi da sotto facciamo il tifo sgradando all’inverosimile, ma la realtà assurda è che su questi pochi metri si è forse toccato anche il V+. Ultimi metri sulle uova e finalmente dopo quasi cinque ore siamo in cima al Paretone Oggioni. Ecco a questo punto ho fortemente temuto di ricevere qualche critica ma con gli amici dell’altra cordata presente (Jacopo & Paolo) la buttiamo subito in chiacchere e si crea il diversivo perfetto. Ad una certa si è fatta ora di andare e ci dicono che non è mica ancora finita, c’è la discesa in perfetto stile ravanage. Due ore (!!) di inseguimento dei bolli rossi, prima giù e poi di là e poi su e poi di nuovo giù, con alcuni tratti esposti e pericolosi. Di non facile individuazione il canalino roccioso che porta alla prima delle due doppie dalla sommità della cosiddette Placche Alte (30 metri + 50 metri circa). Oltre le doppie c’è ancora da scendere per tracce ed ometti verso una canale (breve cavo in acciaio per stendere la biancheria verso la fine) che conduce alla vecchia strada della Gola della Rossa. Prima merenda al parcheggio della “casa del custode” finalmente con i piedi sul “ground” e seconda merenda finale al Bar la Pinta. Giornata intensa ma indimenticabile, sia per l’avventura che per l’ottima compagnia. Grazie a tutti.
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