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martedì 16 novembre 2021

Fine della Rock Season sul Leone di Nemea?

Martedi uggioso di metà novembre, dove una qualsiasi altra attività sarebbe stata sicuramente più congeniale dell’arrampicata. E invece siamo alle solite, si digeriscono a fatica le pessime previsioni meteo con mappe impietose e si parte lo stesso da casa, con il pensiero costante di buttare via un giorno di ferie. Poi addirittura, dopo innumerevoli volte che avevo trascinato gli amici in impossibili lotte contro il meteo, stavolta stavo per rinunciare e mi hanno convinto loro, ovvero Walther e Ulisse. Ritrovo alle 6.50 e partenza da Bologna, saltiamo di netto il caffè ad Affi in modo da guadagnare mezzoretta sulla noiosa perturbazione attesa per le ore 12/13. La parete da lontano sembra umida ma per capire il dettaglio è necessario andare a vedere. Ci incamminiamo e velocemente raggiungiamo la “vecchia cava” di cui parlano le relazioni, una bella scritta vigorosa in rosso ci accoglie in questa umida mattina. Walther ha una mano acciaccata quindi lascia a me e Ulisse la spartizione delle lunghezze di corda da capocordata, come da programma parto io per percorrere i primi cinque tiri. Alle 9.15 inizio a salire i primi metri, vedo il primo fix abbastanza alto all’altezza di una zona decisamente umida, che velocemente oltrepasso per raggiungere una bella parete a liste orizzontali molto divertenti da prendere e tirare. Questo Leone inizia a piacermi, l’arrampicata è elegante e il grigiore del primo mattino lascia il posto ad un po’ di luce. Il secondo tiro offre una corta ma interessante parete fessurata in partenza, poi facile rampa verso sinistra fin sotto quello che dovrebbe essere il primo tiro più croccante. Procediamo allegri, tra commenti e discussioni varie come l’analisi dello zaino stile Nord dell’Eiger di Ulisse, che però non si sa bene il perché deve per forza arrampicare in maglietta. Terzo tiro, primi passi verso destra su roccia un po’ incerta poi traverso tecnico verso sinistra ma chiodato molto bene. Il 6a+ dichiarato mi pare un po’abbondante, ma la sezione è molto divertente. Segue un breve passaggio aggettante poi facili balze fino alla base di una placca di ottima roccia, con cui inizia il quarto tiro, che porta ad una lunga sequenza di muretti non difficili ma da proteggere (friends tra 0.5 e 1 BD). Sosta su due fix inspiegatamente molto alti alla base del primo tiro chiave. Qua cambia la musica, il Leone si fa più ruggente, il primo fix è alto ma forse è voluto e mi muovo con attenzione visto il bagnato presente. Eh sì, perche prima o poi quelle colate viste dal basso mi dovevano toccare, ma mi piace questo confronto visto che un po’ me lo sono cercato. Il diedro vale la giornata, sulla destra ci sono presoni enormi con coralli, in mezzo una cannetta bagnata da stringere bene per rimontare un muretto e giungere a un traverso verso sinistra. Qua capisco che il difficile deve ancora venire, ma ho un intuizione e rimango relativamente basso. In mano ho poco o niente ma in attimo mi trovo oltre, qua il 6a+ lo possiamo scomodare, il 6b dichiarato mi pare eccessivo. Ora una placca con appigli minimali permette di salire sulla sinistra per poi riprendere il diedro verso destra, in grado di offrire ancora passaggi da antologia. Sosta su due fix circa a metà di questo secondo diedro. Buona l’intuizione degli apritori ad aver trovato questi diedri sospesi, davvero belli. Bene ora la mia parte è finita e si va al cambio corde, come l’autista del bus passa le chiavi al collega a fine turno. Ulisse parte veloce, nella tasca ringhia la musica di Ligabue che ascoltavo nel secolo scorso ma la facciamo andare bene lo stesso (solo per oggi…). Ci porta fuori dal diedro che presenta ancora un tratto molto interessante, sosta su una comoda cengia. Il settimo tiro è forse quello più discontinuo e facile, dove occorre prestare attenzione a cosa si prende e si tira, sul finale un traverso verso sinistra porta alla base di una parete grigia di ottima roccia. Mentre arrampico con la testa in folle sul diedrino tecnico dell’ottavo tiro (6a), sento le prime gocce. Peccato perché c’è anche un timido sole, ma come diceva Ivaldo...quando “cielo riluce acqua o neve produce..” e difatti sono le 12.30 esatte, tutto come da previsione. Ormai mancano due tiri, non sarà una tragedia. Dopo la lodevole iniziativa di Ulisse di cambiare un cordone logorato alla S8, lo vediamo concentrarsi su una placca che considerata anche l’umidità per non dire il bagnato risulterà non banale (6a+), superata la quale verso sinistra le difficoltà gradualmente calano. Sosta verso sinistra su un cavo d’acciaio a servizio probabilmente di una falesia, sotto una fessura con scritta in nero “Leone”. Decimo tiro corto ma non banale, l’acqua inizia a colarmi dal casco ma ormai il Leone è domato. Ma si dai, un Leone bonario che però ci ha fatto divertire e apprezzare un tracciato logico e onesto nelle difficoltà. Difficoltà – intendiamoci - non paragonabili ai 6a+/6b di Brentino Classica. Bene, dopo la merenda in cima siamo pronti per la discesa, adesso piove per bene e bagna veramente. Fortunatamente dopo le roccette della prima parte, il lecciodromo oggi non ne ha voglia di bastonarci e velocemente siamo alla macchina giù a Tessari. Pioggia e fango, pareti cupe e bagnate. Cosa c’è di meglio che andare a vedere se la Gigia al bar di Brentino ci può fare tre birre? E difatti, nella luce soffusa del locale, o meglio solo quella che entra dalla finestra, ripercorriamo le fasi salienti della salita e le gags della giornata. Fuori dal bar, le pareti del Monte Cimo bagnate e scure come cattedrali gotiche ci dicono che ci sarebbero qui altri Leoni da scalare meno accomodanti di quello di Nemea, ma è necessario nel caso venire fortemente motivati….e con il Sole!



































giovedì 30 settembre 2021

L'Avventura è dietro l'angolo: Via Matilde - Ripa della Moia

Avventura serale-notturna con Gec. Abbiamo attaccato alle 17, ore 18.40 siamo in cima all'ultima sosta con libro di via. Poi sale su il nuvolone che era un pezzo che ci provava a guastarci la festa, umidità alle stelle e corde che diventano subito un groviglio. Con molta pazienza riusciamo a partire per la prima delle tre doppie, ma il buio arriva in un attimo. Montaggio lampade frontali poi discesa verso l'ignoto con paurosi incastri delle corde nelle piante. Momento di suspence al recupero delle corde prima della calata finale, per fortuna fila tutto liscio, allestiamo l'ultima calata e nel buio totale raggiungiamo il punto di partenza. Contenti di essere a terra. La via è l'esempio di come i chiodatori sono riusciti a fare tanto con poco. La Moia sarà alta 110 metri, ma nelle sei lunghezze, alcune ovviamente corte, che si percorrono si ha l'impressione comunque di essere su una classica multipitch chiodata bene a fix. Ma allo stesso tempo non mancano alcune sezioni più impegnative, vuoi per la qualità della roccia o per passaggi per nulla banali. E' bello anche pensare come nel nostro Appennino ci sono questi spot poco conosciuti alle masse ma che celano un fascino straordinario, dove non basta venire di fretta ogni tre anni ma bisognerebbe venire più spesso e con più tempo a disposizione. Come materiali bastano 12-14 rinvii, qualche cordino per alcune piante che si incontrano lungo il percorso e per allestire la sosta prima del tiro finale. Moschettoni a ghiera e kit per la discesa in corda doppia. Come relazione consiglio lo schizzo di Mazzolini sul suo sito che dice già tutto. Aggiungo solo due note. L'attacco si trova alla base di un albero molto voluminoso con cordone e targhetta con nome alla base. Il quarto tiro è parecchio friabile anche se chiodato corto, ma occorre fare attenzione. L'ultimo tiro presenta una sezione chiave (6a) con l'unico fix lungo di tutta la via, passaggio non azzerabile. Personalmente non ne abbiamo capito il perchè, ma a caval donato non si guarda in bocca! Tenere presente che questa ultima lunghezza è a Nord pieno, con bagnato e umidità meglio lasciare perdere. La fila di fix da seguire è quella di destra. Avendo tutta la giornata a disposizione si potrebbe abbinarla alla via Bibi (accidenti mi manca...fatto solo il primo tiro...) o arrampicare su lunghi monotiri in placca, fessura e diedro.

















sabato 18 settembre 2021

Marche Expedition: Badiali-Conti al Paretone Oggioni - Gola della Rossa

Salita storica di cui si apprezza tuttora la tenacia della cordata Badiali-Conti, specialmente sul difficile secondo tiro che vinsero ricorrendo ad una sistematica chiodatura con chiodi a fessura per progredire in A0/A1 (in libera sicuramente VII, il 6a+ visto in alcune pubblicazioni mi pare un po' stretto). Nei tiri successivi, nonostante il grado noi superi mai il V+ con alcuni passaggi di VI, l'arrampicatore medio si troverà ad affrontare una progressione per nulla banale ma comunque di soddisfazione. Nel finale si va a naufragare in un selvaggio canale finale che richiede parecchie energie tra piante, sassi in bilico e una paretina per nulla banale a pochi metri dal termine. Discesa lunga e complessa a piedi con due calate in corda doppia sul finale. Assolutamente da non prendere sottogamba! Per questo mi sento di ringraziare i due ragazzi della mitica Romagna, incrociati in parete (loro era sui Bivi della Solitudine) che ci hanno fatto strada sulla discesa, che avevano già precedentemente percorso dopo la loro ripetizione della stessa Badiali-Conti. Con Gec e Ric, a cui servirà del tempo per apprezzare questa salita ma sono convinto che book fotografico alla mano accadrà anche questo miracolo. La via sarebbe da due stelle per essere obiettivi, ma la terza stella è comunque meritata per l'avventura stessa che ho vissuto nelle quasi cinque ore passate in parete e nelle due necessarie per la discesa. Segue relazione tecnica mixata con racconto semiserio. Partenza da Bologna parcheggio UP alle ore 6.30 di un sabato tutto da inventare. I due ragazzi, scoraggiati dalle previsioni meteo per le Dolomiti, non sanno di essere caduti in una delle mie trappole. Destinazione le Marche, per andare a mettere il naso sulla Badiali-Conti al Paretone Oggioni. Un via che sulla carta sembrerebbe proporre gradi abbordabili mentre poi si rivelerà un itinerario con carattere e di tutto rispetto. Viaggio tranquillo, due ore e mezza e siamo a Serra San Quirico, per fortuna c’è il nuovo svincolo aperto e troviamo subito anche un bar nelle vicinanze. Al tavolino nessuno scopre le carte. Siamo in tre e a ognuno spetterebbe di tirare due tiri, ma ancora nessuna attribuzione. Parcheggiamo alla cosiddetta “casa del custode”, posto infernale tra la grande cava, la superstrada, il fiume e il treno ma tutto sommato accogliente. Fa già caldo, in una giornata che doveva essere invece nuvolosa e ventosa. In breve siamo all’attacco, poco sopra di noi una cordata romagnola si sta già arrostendo al sole sui “Bivi della Solitudine”. L1: Riccardino nell’indecisione generale scalpita come una cavallo per via dei suoi 22 anni e in un attimo è già partito, sale veloce mettendo alcuni friends necessari e rinviando qualche ginepro, pure sfilando un chiodo con le mani che per plebiscito riteniamo tutti non affidabile. Si sale per placche e fessure, V grado pieno per via anche della roccia non eccezionale e della necessità di integrare la chiodatura con protezioni veloci. Circa 30 metri, sosta su un pulpito su 1 fix e due chiodi. L2: Ric riparte super convinto, sulla placca verticale ci sono vari chiodi ma molti di questi rubano alle mani la possibilità di sfruttare l’esile fessura ma lui riesce lo stesso nella libera (bravo! VI+/VII). Passaggi intensi e una difficile uscita verso sinistra, per poi percorrere una breve traverso, superare una sosta in disuso e cinque metri sopra trovare quella giusta su fix. Noi che siamo “i secondi” facciamo man bassa di A0 senza neanche metterci troppi problemi di etica….o meglio convinti che se un tiro nasce in artificiale, poi lo è per tutta la vita. Tiro chiave, 25 metri, molti chiodi, qualcuno non molto affidabile. L3: Mi offro volontario per i due tiri centrali. Parto con le idee non molto chiare, un primo diedrino verso destra mi richiede un certo impegno assieme allo strapiombetto che segue. E’ tutto ben chiodato, V+/VI-, arrampicata interessante. Oltrepassato un caminetto sulla verticale di roccia meno buona, si inizia una traversata ascendente a sinistra (IV+/V). Il terreno si fa più infido e le spine del ginepro diventano una costante. Qualche chiodo e piante utili come ancoraggio per la progressione. Giunto sotto ad un boschetto pensile, nel bene o nel male seguo un passaggio tra delle piante tagliate e arrivo alla base di una diedro con due chiodi sempre di Badiali & Conti (così leggerò anche dopo su una relazione di Mazzolini). Qua l’errore! A destra (cinque metri almeno) non vedo la sosta in prossimità di una grosso ginepro, ho già fatto 30 metri e nella logica dei due chiodi a fessura arrugginiti tiro diritto e mi infilo senza saperlo in una tratto della via “Regine di Spade”. Dopo i chiodi ci sono due fix e una scomoda (ma sicura) sosta alla quale non posso fare altre che raccontare che ho sbagliato e sono pentito. Sono a 45 metri da dove sono partito, non mi rimane altro che recuperare i compagni e mandarli alla sosta giusta, per poi calarmi in doppia fino alla cengetta che mi porta alla vera S3 su 1 fix+1 chiodo. Lunghezza abbastanza contorta, difficoltà di orientamento verso S3. L4: Il morale della truppa è abbastanza basso per via della vegetazione e del caldo opprimente, cerco di ripartire veloce ma una prima fessura sopra la sosta da proteggere oltre che piuttosto sporca (V+), mi richiede un po’ di tempo. Uscito su un terrazzino con pianta si inizia a salire obliquamente verso destra, necessario con gli occhi individuare la sequenza di chiodi per non sbagliarsi, alcuni passaggi di V+/VI da superare con serenità per via della roccia non sempre perfetta. Giunti in prossimità di uno spigoletto salire diritti verso un ginepro alla base di una grotta, vecchi cordoni sulla pianta dalla quale ci si sposta tre metri a destra per rinvenire due chiodi di sosta distanti tra loro (da collegare, non cordonati e quindi poco visibili). 40 metri. Lunghezza sostenuta, purtroppo infastidita in alcuni punti dalla vegetazione. L5: Iniziano le prime allucinazione dovute al caldo, Gec mentre si toglie le spine dice che lui sarebbe anche arrivato e minaccia di scendere slegato senza saldare il conto con i due tiri finali che gli spettano di diritto. Riusciamo a convincerlo e parte ignaro di quello che lo aspetta sopra. Dopo aver incrociato l’altra cordata al “bivio” che gli racconta di terribili voloni su friends che si sfilano, lo vediamo affrontare un aggettante strapiombo fessurato (VI-, meglio anche integrare) cui segue una arrampicata obliqua sempre verso destra su roccia non solidissima. Da ultimo ci dovrebbe essere un traverso corto ma difficile a destra, che salta di netto per andare a sostare su un solido albero sotto una bianca parete friabile, forse con l’intento di aprire una variante degna di nota. 40 metri, roccia ottima e appagante fino allo strapiombo, poi via via peggiore. L6: Raggiunto il compagno, ci portiamo a destra per guadagnare la base del canale. Su quest’ultimo Gec spende le ultime pillole di calma rimaste e dopo aver raccolto ogni specie botanica tra il casco e la maglietta va a fare sosta su un’altra pianta 40 metri sopra, alla base di una paretina piuttosto repulsiva. III+, canale che si alterna a qualche muretto da scalare. L7: L’orologio avanza a braccetto con il caldo ma qua per fortuna siamo in ombra e si iniziano ad apprezzare le piante. Gec si trova ora al conflitto finale con la repulsiva parete di 6 metri, ma vince la battaglia prendendo in mano non si sa bene cosa tra fogliame e sassi che si muovono e cadono verso il basso. Noi da sotto facciamo il tifo sgradando all’inverosimile, ma la realtà assurda è che su questi pochi metri si è forse toccato anche il V+. Ultimi metri sulle uova e finalmente dopo quasi cinque ore siamo in cima al Paretone Oggioni. Ecco a questo punto ho fortemente temuto di ricevere qualche critica ma con gli amici dell’altra cordata presente (Jacopo & Paolo) la buttiamo subito in chiacchere e si crea il diversivo perfetto. Ad una certa si è fatta ora di andare e ci dicono che non è mica ancora finita, c’è la discesa in perfetto stile ravanage. Due ore (!!) di inseguimento dei bolli rossi, prima giù e poi di là e poi su e poi di nuovo giù, con alcuni tratti esposti e pericolosi. Di non facile individuazione il canalino roccioso che porta alla prima delle due doppie dalla sommità della cosiddette  Placche Alte (30 metri + 50 metri circa). Oltre le doppie c’è ancora da scendere per tracce ed ometti verso una canale (breve cavo in acciaio per stendere la biancheria verso la fine) che conduce alla vecchia strada della Gola della Rossa. Prima merenda al parcheggio della “casa del custode” finalmente con i piedi sul “ground” e seconda merenda finale al Bar la Pinta. Giornata intensa ma indimenticabile, sia per l’avventura che per l’ottima compagnia. Grazie a tutti.

mercoledì 28 luglio 2021

Un punto di arrivo: Spigolo Giallo (Comici) alla Cima Piccola di Lavaredo


Impegnativa e bellissima. Soddisfazione enorme. Con Gec. Segue il report... Partiamo subito con una premessa. Se non fosse stato per Gec che mi ha trascinato (nel senso buono!) in questa avventura, probabilmente io non avrei mai percorso lo Spigolo Giallo, storica via di Emilio Comici del lontano 1933. Le Lavaredo sono sempre state un po’ lontane dalle mie rotte, poi qua c’è pure l’aggravante del grado, si parla di 6a con chiodi tradizionali e necessità di integrare, con due severi tiri in partenza che tutti reputano i più difficili della via. Insomma una via per quelli bravi, quelli che fanno il 7a in falesia e viaggiano tranquilli. Quindi cosa ci vado a fare io? Ma si, mi dico, tanto poi alla peggio la tira tutta lui e vado in relax da secondo. Da questi primi timidi ragionamenti sono passati ormai due anni, non c’era neanche il Covid! Il tempo passa, l’estate scorsa non si riesce a combinare molto, settembre arriva in un attimo, le giornate sono già corte e non ci fidiamo. Ma questo tempo è servito per elaborare la proposta, capire che fare una via così da gregario non avrebbe dato le stesse soddisfazioni che farla in alternata. Poi per carità ognuno farà i tiri in base alle sue capacità, ma se non altro nasce lo stimolo per allenarsi a dovere. Qua mi tornano in mente gli allenamenti per le mezze maratone, quel metodo “scientifico” che dice “se ti impegni con costanza poi ottieni”. Dalla primavera riusciamo ad arrampicare spesso, mettiamo anche nel cesto alcune vie lunghe che ci danno una certa consapevolezza che l’obiettivo è ormai raggiungibile. Non abbiamo una data certa, ma luglio ci pare il mese migliore. Per una serie di motivi ci riduciamo all’ultima settimana, vorremmo cercare di non traslare l’uscita ad agosto, peggio ancora a settembre. Voi che leggete direte….beh ci siamo. E invece no, arriva lui….il meteo infame, ovvero quello che non è ne’ bello ne brutto. Passo decine di ore davanti alle mappe, incrocio ogni sorta di bollettino, niente da fare per il 28 luglio 2021 la finestra patagonica non c’è. La mattina del 27 luglio ormai abbiamo rinunciato, quel clima da esame andato male e pacca sulle spalle, “dai sarà per più avanti vedrai che riusciremo”. Poi accade il miracolo. Meteo Arabba alle ore 13 emette un bollettino fin troppo ottimista. Sono in casa e sto mangiando, mando due righe a Gec e temporeggio un attimo. Esco di corsa a fare la spesa, ma quando vedo che nel carrello sto mettendo anche qualcosa per la merenda del giorno dopo capisco che ci siamo. Prendo nuovamente in mano i dati e ora anche la mappa Cosmo di Meteo BZ ci crede. Non senza fatica ci convinciamo (o meglio lo convinco…) che non prenderemo il temporale in parete, e con un bel ritardo rispetto ai piani partiamo con il furgone da Bologna alle ore 18. Da Rovigo a Pieve di Cadore è acqua fitta, temporali e fulmini orizzontali. Il morale non è molto alto, ci fermiamo a mangiare nel parcheggio di una farmacia, servirebbe davvero una cura per certe idee. Viene buio e ci ritroviamo a dormire nel parcheggio del Fonda Savio. Alle 3 mi sveglio, luna splendente a fianco della Torre Wundt e cielo stellato. Sveglia alle 5.30 e colazione abbondante. Lasciato l’obolo da trenta euro al casello saliamo verso il Rifugio Auronzo e da qua, ammirando lo Spigolo, fino all’attacco. Sono sotto al primo tiro, vorrei fare il coniglio ma ho studiato bene su YouTube questi 30 metri che ho davanti e mi dico che ce la posso fare. Alle ore 7.59 stacco i piedi da terra e rimango a lungo concentrato, sul tiro (V+) ci sono alcuni chiodi e si integra bene. Dopo quasi mezzora, approdo davanti alla sosta più fatiscente che abbia mai visto. 1 chiodo è penzolante, altri due danno poca fiducia, quello più a destra è recente ma suona male. Ho il martello dietro ma non ho voglia di investire altro tempo, sto scomodissimo pur di non appendermi e recupero Gec che ormai ha già passato troppo tempo giù in ombra. In una qualche maniera mi passa tra le gambe e affronta la seconda parte del diedro bianco, riesce con convinzione a oltrepassare l’ostico e unto passaggio strapiombante (VI-, anche VI allegro…) che sancisce la fine di questa via nella via. Si perché da qua in poi si entra in qualcosa di diverso, la via diventa più bella e svanisce quel senso di oppressione insistente. Saliamo ora quattro tiri di corda per nulla banali, zone più facili lasciano spazio a muri verticali poco o per niente chiodati. Diciamo che non è uno scandalo scomodare più volte il V grado. Al sesto tiro bisognerebbe contare le cenge e trovare due freccie incise per imbroccare l’esposto traverso verso sinistra. Non facile come leggerlo sul libro….L’orologio avanza e le nuvole che salgono a tratti ci dicono che non è ammesso sbagliare qualcosa adesso. Salgo anche io alla sosta e guardando verso sinistra mi torna in mente il video visto due sere prima sul quale mi ero addormentato. Quel cordone che penzola è inconfondibile, questa è la traversata giusta! In un attimo mi ritrovo alla settima sosta su un terrazzino, sotto un vuoto che toglie il fiato. Da qua in poi la via è veramente molto entusiasmante, lascio all’egregio compagno i prossimi due tiri. Muro verticale con percorso contorto ma con più interpretazioni (ottava lunghezza, V+) e poi il tiro chiave, stupendo diedro strapiombante tutto da arrampicare (VI+). L’abbondante chiodatura, la comoda e solida sosta alla base lo fa sembrare quasi un tiro da falesia. Indimenticabile. Dopo 25 metri si esce a sinistra passando davanti a una sosta a resinati……resinati? Ma di cosa parliamo? Beh allora perché qua non li hanno smartellati come invece hanno fatto con tutti gli altri fix in altre soste della via? Ecco qua viene da domandarsi bene che cos’è l’essere umano! Sorvoliamo che è meglio e torniamo sulla via. Si riesce ad andare a sostare una decina di metri in alto a sinistra, eliminando di fatto un corto tiro di V/V+. Rimangono a questo punto solo quattro tiri, si inizia a pregustare la gioia del risultato. La stanchezza inizia a farsi sentire, fa freschino e il sole ormai non è più predominante (nel caso lo fosse mai stato..), ma per fortuna l’arrampicata di questa ultima parte è estremamente divertente. Vari muri e fessure di V con passaggi di V+, tra l’altro ben chiodati o facilmente integrabili, si vorrebbe quasi che questo tratto non finisse mai. L’ultimo tiro spetta a colui che ha avuto l’idea, vedo che lotta con l’ultima fessura, non ci sono sconti fino in cima. Mentre mi recupera, mentre supero il sasso incastrato da cordonare di cui ho tanto letto su varie relazioni, mentre sbuco in cima e vedo la famosa sosta su due fix, capisco e di questo ne sono estremamente felice che lo Spigolo Giallo ci ha fatto passare. Ma la giornata non è ancora finita. Con molta fortuna raggiungiamo agevolmente la sella tra cima e anticima. Inizia a chiudersi il cielo, ma a parte qualche goccia raggiungiamo senza intoppi la forcella che separa Cima Piccola da Cima Grande. Sembra ormai fatta, invece scesi un centinaio di metri siamo costretti ad una ulteriore corda doppia di 60 metri per aver ragione di una nevaio fatto a pinna di squalo che neanche in Cliffhanger si era visto….Ormai sta venendo tardi, saranno le 18 e inizia a piovere come previsto. Ma ormai siamo fuori dai guai, faccia moh quello che vuole, mezzora e saremo al furgone, bagnati ma soddisfatti. Pizza e birra finale alla Pizzeria Europa di Auronzo (consiglio!), riassetto materiali e rientro in aerovia A27/A13, mezzanotte a Bologna. Abbiamo fatto giornata! Una piccola ma grande impresa, per noi più grande che piccola. E di tutto questo ringrazio Giacomo che ha voluto che condividessi con lui questa salita, oltre a coloro che hanno partecipato con noi a varie uscite di allenamento (Walther, Daniele, Tom, Ric …) e che ci hanno dato preziosi consigli sulla salita (grazie Fabio!). Un grazie speciale va alle nostre famiglie che ci hanno sostenuto, ascoltato, sopportato e spinto nel momento giusto, ora possiamo andare tutti in ferie più sereni…e tranquilli. Note per raggiungere la sella dove iniziano le corde doppie: Dall’ultima sosta della via su due fix. Spostarsi 5 metri verso Ovest, poi salire una corto canalino terroso, guadagnare una piattaforma (grosso ometto), scendere tre metri in una spaccatura più facile di quello che sembra (verso Nord-Ovest). Dopo un breve spostamento (altri 5-10 metri) salire un diedro di 15 metri (II,III) con ometti in cima. Seguire una cengia verso Nord-Ovest fino al termine dove si trova un ancoraggio per corda doppia di 10 metri versante Ovest (2 chiodi, cordoni e maglia rapida). Percorrere poi un ultima cornice (verso la sella, Nord) con un passaggio singolo di III grado in discesa (attenzione!). Con 8 corde doppie da 20/22 metri su grossi anelli nuovi ben visibili si perviene alla forcella.